L’oratoria fiorisce rigogliosamente solo nel disordine civile
Nella sezione conclusiva del Dialogus de oratoribus, ambientato attorno al 75 d.C., Curiazio Materno cerca di giustificare il diminuito prestigio del ruolo dell’oratore in età imperiale con una riflessione politica.
L’annosa discussione sulla paternità tacitiana del Dialogus investe oltre all’aspetto stilistico anche quello ideologico, con particolare riferimento proprio a questo discorso conclusivo che, pur esprimendo solo l’opinione di un personaggio (per quanto di fatto protagonista dell’opera) e non necessariamente dell’autore, sembra apparentemente contrastare, nel suo pragmatico ottimismo, con il quadro ben altrimenti drammatico che Tacito stesso dà della vita culturale e politica sotto i Flavi nei proemi dell’Agricola e delle Historiae.
Pre-testo: Anche il nostro stato, finché errò, finché si consumò in fazioni, dissensi e discordie, finché non vi fu nessuna pace nel foro, nessuna concordia in senato, nessuna moderazione nei giudizi, nessun rispetto verso i superiori, nessun limite nelle magistrature, suscitò senza dubbio un’eloquenza più potente, come un campo incolto ha una vegetazione più rigogliosa. Ma l’eloquenza dei Gracchi non ebbe tanto merito per la repubblica da farne sopportare anche le leggi, né Cicerone con la fine che ha fatto pagò in modo vantaggioso la fama della sua eloquenza
Così quel che gli oratori conservano dell’antica attività forense è indizio di uno stato non corretto né ordinato quanto sarebbe desiderabile.
Chi infatti ci chiama a sostegno se non è colpevole o vittima? Quale municipio diventa nostro cliente se non quello afflitto da una popolazione vicina o da una discordia interna? Quale provincia difendiamo se non è saccheggiata o tartassata?
Atqui melius fuisset non queri quam vindicari. Quod si inveniretur aliqua civitas in qua nemo peccaret, supervacuus esset inter innocentis orator sicut inter sanos medicus. Quomodo tamen minimum usus minimumque profectus ars medentis habet in iis gentibus quae firmissima valetudine ac saluberrimis corporibus utuntur, sic minor oratorum honor obscuriorque gloria est inter bonos mores et in obsequium regentis paratos.
Quid enim opus est longis in senatu sententiis, cum optimi cito consentiant? Quid multis apud populum contionibus, cum de re publica non imperiti et multi deliberent, sed sapientissimus et unus? Quid voluntariis accusationibus, cum tam raro et tam parce peccetur? Quid invidiosis et excedentibus modum defensionibus, cum clementia cognoscentis obviam periclitantibus eat?
Orbene, sarebbe stato meglio non avanzare querela che avere giustizia. Se si trovasse infatti una città in cui nessuno commettesse un reato, sarebbe inutile un oratore fra innocenti come un medico fra persone sane. Come tuttavia l’arte medica presenta minima utilità e minimo vantaggio in quelle popolazioni che vantano una salute saldissima e corpi robustissimi, così è minore l’onore dell’oratore e meno luminosa la sua gloria fra uomini di buoni costumi e pronti ad ossequiare chi è al potere.
Che bisogno c’è di lunghe discussioni in senato quando i migliori danno subito il loro consenso? O di lunghi discorsi davanti al popolo quando non sono molti inesperti a deliberare sulle questioni politiche ma uno solo competentissimo. O di accuse in prima persona, quando si commettono reati così di rado e così di lieve entità? O di difese odiose e fuori misura quando la clemenza di chi giudica va incontro a chi è in pericolo?
Post-testo: Credetemi, voi che siete uomini di valore e facondissimi per quanto è necessario, se foste nati nei secoli precedenti o quegli oratori che ammiriamo fossero nati al nostro tempo, oppure se un dio avesse mutato le vite e le epoche, non sarebbe mancata a voi la loro fama e la loro gloria né ad essi la vostra moderazione e il vostro senso della misura; ora, poiché nessuno può ottenere nel medesimo tempo grande fama e grande quiete, ciascuno goda del buono che c’è nella sua epoca senza denigrare quella altrui.
Questionario (risposta max 10 righe)
Puoi individuare nel testo, in particolare nella parte da tradurre, alcune espressioni che riflettono, al di là dell’apparenza encomiastica del discorso, la natura autocratica del principato e gli effetti sulla vita intellettuale messi in luce da Tacito nei proemi dell’Agricola e delle Historiae?
Il testo, pur sostenendo l’idea che il declino del prestigio sociale dell’oratore dipende dal miglioramento della vita pubblica dovuto all’istituzione del principato, non manca di fornire elementi che contrastano con un’interpretazione univocamente ottimistica. Oltre ad ammettere la persistenza di situazioni criminose che richiedono l’intervento di difensori, Materno non nasconde la realtà dell’annullamento totale del confronto politico: laddove ciò che si chiede ai sudditi è solo l’obsequium regentis, il consensus degli optimi alla volontà del princeps è automatico, privo di reale riflessione, e l’unus et sapientissimus impone la sua volontà esautorando i cittadini da qualsiasi responsabilità deliberativa. L’appiattimento della coscienza politica e la perdita della libertas intellettuale emergono anche in questo passo come l’alto prezzo da pagare per una quiete pragmaticamente accettata.